31 May Indiani metropolitani
DATE:
1976-1977
GRUPPI E LUOGHI:
Bologna, Milano, Napoli, Roma.
RIVISTE:
«Viola» (1976-1977, Milano), «Zut» (ottobre 1976-ottobre 1977, Roma), «Limone a canne mozze» (1977, Bologna), «Oask?!» (marzo 1977, Roma), «Wow» (marzo-aprile 1977, Milano), «Abat-jour» (aprile 1977, Roma), «Wam» (maggio 1977, Roma), «Il complotto di Zurigo» (settembre 1977, Roma), «Pasquale» (1977, Napoli), «Altrove. Materiali» (1977-1978, Roma).
EVENTI:
Cacciata di Lama (17 febbraio 1977), Manifestazioni contro la centrale nucleare di Montalto di Castro (20 marzo, 28 agosto 1977).
DESCRIZIONE:
Sviluppatisi all’interno del più ampio movimento del Settantasette, gli Indiani metropolitani costituiscono una delle componenti più significative al suo interno e la frangia più nota della cosiddetta “ala creativa”. La loro sfuggente conformazione riflette in maniera rappresentativa la natura dell’intero movimento del Settantasette, poiché si nega alle definizioni canoniche, slegandosi dalle logiche gruppali che avevano caratterizzato la sinistra extraparlamentare, per farsi soggetto collettivo, molteplice al suo interno e programmaticamente in continua dis/aggregazione, ovvero in continua dispersione e diffusione all’interno del movimento generale di contestazione. L’immagine dei nativi americani appare nell’iconografia dei movimenti degli anni Settanta, in parte mediata dal cinema western, come simbolo della lotta per l’indipendenza dall’egemonia politica e culturale degli Stati Uniti d’America e fa le sue prime significative comparse nei volantini dei Circoli proletari giovanili di Milano. Il movimento vero e proprio degli Indiani metropolitani si afferma durante l’occupazione della Facoltà di Lettere dell’Università La Sapienza di Roma, nel febbraio 1977, quando un gruppo di studenti fonda un piccolo collettivo all’interno dell’assemblea dell’occupazione, con questo nome. La prima manifestazione pubblica del collettivo avviene in occasione del noto episodio della “cacciata” di Luciano Lama dalla Sapienza; per esprimere il loro dissenso nei confronti della sinistra istituzionale gli Indiani organizzano una sorta di happening durante il quale danzano truccati, con in mano asce giocattolo e coriandoli, intorno a un fantoccio con le fattezze di Lama. Al coordinamento dei collettivi universitari gli Indiani si presentano proponendo una propria piattaforma di intenti, una sorta di programma politico che contiene proposte fantasiose e irrealizzabili come, ad esempio, «Dare un chilometro quadrato di verde per ogni abitante» o la distruzione dell’Altare della Patria per farne un parco cittadino (cfr. A. Iacarella, Indiani metropolitani, Redstar, Roma 2018, p. 163). In questa piattaforma si manifestano la strategia primaria adottata dal gruppo, basata sull’ironia, la provocazione e il paradosso, e alcuni dei principali obiettivi politici e culturali, come la trasformazione del tempo libero in tempo liberato, l’espropriazione della cultura dalle mani della borghesia e delle élite intellettuali, il personale/politico, la lotta all’eroina e altre questioni che accomunano fortemente il loro “programma” a quello dei Circoli milanesi, oltre a un certo interesse per la questione ecologica. La pratica politica degli Indiani è incentrata sull’espressione creativa, la festa e il gioco, intesi come strategie pienamente rivoluzionarie, e animata dal rifiuto per la seriosità dei gruppi politici extraparlamentari. La festa, in particolare, diventa veicolo primario di dissenso, innescando forme rituali di aggregazione sociale alternative a quelle sviluppatesi col consumismo e invalse in una società fortemente cattolica come quella italiana: il “modello” della tribù sostituisce, infatti, nell’idea degli Indiani, quello della famiglia e le altre forme tradizionali di organizzazione sociale. Durante i cortei gli Indiani trasportano dei totem e delle strane “figure” in cartapesta, accompagnati come in processione con danze tribali, facendo di questa nuova ritualità uno strumento di contestazione. Già durante l’occupazione alla Sapienza il collettivo comincia a disperdersi; gli Indiani metropolitani si spostano negli spazi della città, si accentua il rifiuto per le forme strutturate di aggregazione e si avvia la dispersione del gruppo originario. Si formano decine di gruppi – non strutturati e senza una sede designata – di Indiani metropolitani o di gruppi ad essi ispirati, a Roma e in altre città italiane, in particolare a Bologna, ma anche a Milano e Napoli. Questi “gruppi” non sono necessariamente legati tra loro, ma appaiono molto stretti, ad esempio, i rapporti tra alcuni Indiani romani e quelli bolognesi; sono soprattutto i singoli individui che, con le loro iniziative e muovendosi da un luogo all’altro – da una tribù all’altra – alimentano il movimento. Durante le manifestazioni e in varie azioni dimostrative l’immagine dell’indiano è inoltre sempre presente; chiunque, infatti, può appropriarsene indossando un copricapo con le piume o semplicemente dipingendosi il volto, così che la figura dell’indiano diventa una sorta di identità collettiva rivoluzionaria, che anima le manifestazioni politiche del Settantasette e incarna nell’immaginario la stessa ala creativa del movimento. Tra gli Indiani, soprattutto quelli romani del primo nucleo, emergono alcuni nomi come quelli di Olivier Turquet (conosciuto come “Gandalf il Viola”), Maurizio Gabbianelli, Carlo Infante, Massimo Terracini, Marco Erler (detto “Nuvola rossa”), Mario Appignani, (detto “Cavallo pazzo”) e Pablo Echaurren. Artista vicino agli ambienti della Neoavanguardia sin da adolescente e figlio del pittore surrealista Sebastian Matta, Echaurren diventa uno degli illustratori più importanti dei movimenti underground, animatore di molte delle riviste dell’ala creativa e uno dei maggiori “biografi” dei movimenti. Alla sua penna si deve la maggior parte delle illustrazioni presenti nelle riviste che sono diretta espressione del movimento del Settantasette. Tra le riviste degli Indiani la principale è sicuramente «Oask!?», ma si ricordano anche «Wam», «Abat/jour» «Il complotto di Zurigo» e «Altrove. Materiali», che si devono soprattutto all’opera di Echaurren e Gabbianelli, e, in sostanza, del gruppo di «Oask!?». Queste riviste sono poi da rapportare ad esperienze simili in altre città come «Viola» (foglio dei Circoli proletari milanesi), «Wow» (rivista milanese creata da Dario Fiori) o a quelle degli Indiani bolognesi di «Limone a canne mozze», ed hanno inoltre numerosi elementi di convergenza con «A/traverso», per quel che riguarda le strategie di linguaggio adottate e l’influenza mao-dadaista che in esse si verifica. Si deve segnalare a questo proposito la collaborazione di «A/traverso» con la rivista romana «Zut», animata, tra gli altri, da Angelo Pasquini e collegata agli Indiani, per la pubblicazione di un’altra rivista intitolata «Finalmente il cielo è caduto sulla terra». È soprattutto a partire dall’analisi dei fogli degli Indiani, in particolare di «Oask?!» e «Wam», oltre che della stessa «A/traverso», che alcuni dei più importati studiosi d’arte e cultura in Italia come Umberto Eco e Maurizio Calvesi cominciano a mettere in rilievo, nello stesso torno di anni, lo stretto legame che unisce le sperimentazioni grafiche e linguistiche di questi periodici e dei gruppi che le animano con quelle delle avanguardie storiche e la linea di continuità che li unisce dal punto di vista degli obiettivi politico-culturali e delle strategie adottate. Calvesi, in particolare, spiega il passaggio fondamentale dall’avanguardia elitaria dei gruppi storici all’avanguardia di massa che si concretizza nei movimenti di dissenso degli anni Settanta, in cui, per l’appunto, le tecniche delle avanguardie diventano appannaggio di “tutti”, e l’avanguardia si realizza come creatività diffusa, analizzando nel dettaglio le analogie e le riprese delle avanguardie non soltanto nel linguaggio, ma anche nei comportamenti adottati dall’ala creativa del movimento. Da questo punto di vista gli Indiani metropolitani sembrano incarnare perfettamente il concetto di avanguardia di massa. Si deve far notare, in particolar modo, l’influenza maggiore del Dadaismo e il richiamo ironico ed esplicito ad esso, presente, ad esempio, in «Wam», sottotitolato con l’indicazione «Zurigo 1916 (oh!)» e, soprattutto, nel «Complotto di Zurigo» in cui ironicamente si annuncia, con il primo numero, la recente chiusura del Cabaret Voltaire, culla del Dada, e l’arresto dei suoi animatori, Tzara, Arp e Ball. Evidenti anche le influenze del Surrealismo e del Futurismo, quest’ultimo ancora colpito, al tempo, dallo stigma del fascismo e rivalutato in ambito underground proprio grazie a questi fogli e in particolare all’opera di Echaurren. Le strategie più frequenti in queste riviste sono il falso, la parodia – spesso rivolta anche contro sè stessi – e il sabotaggio della comunicazione mediatica, oltre ad altre pratiche mutuate dal Situazionismo, come il détournement. La costruzione delle false notizie, – la falsificazione del sistema informativo, come si legge in «Zut» (Angelo Pasquini e Piero Lo Sardo, Il movimento e il falso, in «Zut», dicembre 1976) – è una delle strategie predilette. L’attenzione mediatica nei confronti degli Indiani metropolitani cresce in maniera esponenziale a partire dalle loro prime apparizioni: il fenomeno, nella sua bizzarria e nello scarto radicale stabilito rispetto alla comunicazione mediatica ordinaria, oltre che alle consuete forme politiche, suscita estrema curiosità, portando presto il movimento a subire il processo di spettacolarizzazione. Si ricorda in questo senso uno degli episodi più mediatizzati, ovvero l’incontro nel 1977 degli Indiani, invitati al meeting dalla stampa estera, con un rappresentante della FGCI, Massimo D’Alema: la discussione viene sabotata dal discorso derisorio di Gandalf il Viola, che parla al tavolo degli invitati con una maschera sul volto, e dalla contestazione di Cavallo Pazzo dalla platea. Uno dei momenti più significativi nella storia degli Indiani è rappresentato – come per tutto il movimento – dalle manifestazioni del marzo 1977. In vista della manifestazione prevista per il 12 marzo a Roma, gli Indiani indicono un’assemblea con l’intento di riunire l’ala creativa del movimento. La manifestazione – seguita all’uccisione di Francesco Lorusso a Bologna, avvenuta il giorno prima – viene tuttavia ricordata come una delle più violente del periodo e in seguito a quella giornata di scontri con la polizia gli Indiani metropolitani sembrano allontanarsi dalle manifestazioni politiche. Un’eccezione di rilievo è rappresentata dalle lotte contro l’istallazione della centrale nucleare di Montalto di Castro (Viterbo): gli Indiani organizzano infatti, assieme ai comitati del territorio, la prima marcia antinucleare in Italia, trasformatasi in una sorta di raduno hippie, una grande e pacifica festa popolare. La fine del movimento degli Indiani viene annunciata sulle pagine de «Il complotto di Zurigo» (settembre 1977) e definita come un processo di mutazione, decretato in reazione alla violenza politica crescente all’interno del movimento e da parte delle forze dell’ordine. Sulle pagine della rivista compare uno strano animale, disegnato da Echaurren, che si propone come nuovo simbolo del movimento per la sua caratteristica abilità di sfuggire a definizioni e “imbrigliamenti” ideologici, culturali e politici: «Non più penne, ma peli! Cancellare ogni residuo ricordo della folklorica figura dell’indiano cicorione caro ai media […] Voltare pagina, forzare l’evoluzione […] Eleggiamo a nostro beniamino l’ornitorinco, un’animale che ha fatto della confusione evolutiva la propria caratteristica» (ivi, s.p.).
BIBLIOGRAFIA:
Per la storia del movimento si veda il recente studio di Andreas Iacarella, Indiani metropolitani. Politica, cultura e rivoluzione nel ’77, Redstarpress, Roma 2018, che inquadra gli Indiani nel complesso del movimento del Settantasette e contiene una bibliografia aggiornata, cui senz’altro si rimanda. Si veda tuttavia, e in particolar modo, Lingue e Linguaggi. Gli Indiani metropolitani. Storie, documenti, testi e immagini, «DeriveApprodi», n. 15, 1997. Per l’analisi delle strategie linguistiche e artistiche, nonché dei comportamenti adottati dagli Indiani in relazione alle avanguardie storiche si rimanda alla dettagliata analisi di Maurizio Calvesi in Avanguardia di massa (1978), volume riedito, nella sola parte relativa agli Indiani, da Postmedia (Milano 2018) e a Claudia Salaris, Il movimento del Settantasette. Linguaggi e scritture dell’ala creativa, AAA, Bertiolo 1997. I saggi di Umberto Eco relativi al Settantasette sono contenuti in Sette anni di desiderio (1976), Bompiani, Milano 2012. Per ulteriori approfondimenti sulle riviste degli Indiani si rimanda a Raffaella Perna, Pablo Echaurren. Il movimento del ’77 e gli indiani metropolitani, Postmedia, Milano 2016. Si rimanda infine al volume di Tano D’Amico e Pablo Echaurren, Il piombo e le rose. Utopia e creatività nel Movimento 1977, Postcart, Roma 2017.
[Giovanna Lo Monaco]
[scheda aggiornata al 17 maggio 2019]