Poesia Visiva

Poesia Visiva

DATE:
1960-…

GRUPPI E LUOGHI:
Gruppo 70 (Firenze), gruppo di «Ana Eccetera» (Genova), Gruppo internazionale di poesia visiva (Brescia), Gruppo Studio (Genova), Nuova Scrittura (Milano-Genova); Centro Continuum (Napoli), Centro Tèchne (Firenze), Centro Tool (Milano), Mercato del Sale (Milano), Mulino di Bazzano (Parma), Studio Brescia (Brescia).

RIVISTE:
«Ana Eccetera» (Genova, 1958-1971); «Documento Sud» (Napoli, 1959), «quaderno» (Napoli, 1962), «Linea Sud» (Napoli, 1963-1967), «Ex» (Roma, 1963-1968), «Trerosso» (Genova, 1965-1966), «Tool» (Milano, 1965-1967), «Geiger» (Torino, 1967-1982), «Amodulo» (Brescia, 1968-1970), «Continuum» (1968-1970), «aaa» (1969), «Tèchne» (Firenze, 1969-1976 prima serie; Udine, 1986-2013 seconda serie; Udine, 2014 «Nuova Tèchne»), «Lotta Poetica» (Brescia-Padova-Verona, 1971-1975 prima serie, 1982-1984 seconda serie, 1987 terza serie, 2009 quarta serie, «New Lotta Poetica» 2012), «Tam Tam» (Torino, 1972-1988), «Continuazione A-Z» (Napoli, 1973), «silence’s weke» (Napoli, 1973), «E/MANA/AZIONE» (Napoli, 1976-1981), «Tau/ma» (Bologna, 1976-1981), «Factotum» (Brescia, 1977-1979).

CASE EDITRICI:
Carucci Editore (Roma), Colonnese Editore (Napoli), Edizioni 70 (Firenze), Factotum Art (Brescia), La Nuova Foglio (Macerata), Lerici (Roma), Sampietro (Bologna), SARMIC (Brescia), Visual Art Center (Napoli). Si segnalano inoltre le edizioni collegate alle riviste: Amodulo (Brescia), Ana Eccetera (Genova), Continuum (Napoli), Tool (Genova-Milano), Geiger (Torino), Tèchne (Firenze).

EVENTI:
“Arte e comunicazione” (Convegno, Firenze, 24-26 maggio 1963), “Arte e tecnologia” (Convegno, Firenze, 27-29 giugno 1964), “Poesie e no” (happening interdisciplinare, 1964, 1965, 1966, 1967), “Terzo Festival e Luna Park” (Firenze, maggio-luglio 1965), “Parole sui muri” (Fiumalbo, Modena).

DESCRIZIONE:
La definizione di poesia visiva, qui utilizzata nella sua accezione più ampia, è riferibile ad una serie di sperimentazioni a carattere interartistico, basate sull’impiego del codice linguistico e di quello visivo, che si sviluppano in Italia e sulla scena internazionale tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni del decennio successivo, in aperta opposizione alla comunicazione standardizzata della moderna società dei consumi, nonché al mercato artistico ed editoriale delle società neocapitalistiche. L’ampio spettro delle ricerche verbovisive comprende al suo interno gruppi, movimenti e artisti molto diversi tra loro, nei quali l’uso dei registri verbale e visivo si serve di più media, come il quadro, il libro, la fotografia, il manifesto, il videotape, il magnetofono, l’happening. Il termine “poesia visiva” è stato oggetto di reiterate discussioni, sia da parte dei protagonisti nel corso degli anni Sessanta e Settanta, che nella successiva sistematizzazione storiografica e critica. Ciò è dovuto  alla volontà di differenziare i diversi tipi di sperimentazioni riconducibili ai gruppi, movimenti e artisti attivi in tale ambito, che di volta in volta si sono avvalsi di varie definizioni, come poesia visuale, poesia visiva, scrittura simbiotica, nuova scrittura. In primo luogo occorre ripercorrerne brevemente la storia delle ricerche verbovisive, i cui antecedenti datano al 1944 e affondano le radici nella fervida sperimentazione parolibera dell’avanguardia futurista. Difatti è proprio in quell’anno che Carlo Belloli dà alle stampe un libro singolare, di grande formato, composto da una serie di tavole  verbovisive, che sin dal titolo Testi poemi murali (Milano, Edizioni ERRE) – denuncia la nuova dimensione della poesia, che conquista lo spazio della parete, in modo analogo al quadro. Nel prosieguo della sua attività, Belloli, pur inaugurando di fatto la linea di sperimentazione concreta, adotterà il termine poesia visuale per caratterizzare la propria attività, scartando sia la definizione di poesia concreta che quella di poesia visiva (Poesia visuale: affermazione di una tendenza, in Dietrich Mahlow e La Biennale di Venezia. Poesia concreta, indirizzi concreti, visuali e fonetici, a cura di A. Lora-Totino, introduzione di Umbro Apollonio, Cà Giustiniani/Sala delle Colonne, 25 settembre – 10 ottobre 1969, Venezia, Stamperia di Venezia, pp. 13-18). Se la poesia concreta acquisisce sin da subito una fisionomia ben definita, sostanzialmente riconducibile all’impiego estetico e spaziale del carattere tipografico sulla pagina, canonizzata dalle sperimentazioni di ambito germanofono (Eugen Gomringer, Max Bense, Franz Mon), lusitano (Gruppo di Noigandres) e italiano (soprattutto con Arrigo Lora Totino), la poesia visiva invece segue percorsi più frastagliati, sebbene il tratto predominante possa essere individuato nell’impiego simultaneo di testo e immagine nella composizione dell’opera. Le prime sperimentazioni in tal senso si hanno nei centri di Genova e Napoli, rispettivamente con la pubblicazione nel 1960 della “cromologia” di Corrado d’Ottavi (Stima di Corrado D’Ottavi e colori solidi e una cromologia e così avanti a rubare il mestiere ai filosofi), e con la stampa nel 1962 di Schemi di Stelio Maria Martini. Nel primo caso si tratta di un collage di figure colorate geometriche e di frasi tratte da quotidiani, ospitato come supplemento nel numero 3 della rivista genovese «Ana Eccetera» (maggio 1960), fondata e diretta nel 1958 da Anna e Martino Oberto; la rivista si pone come primo esperimento di laboratorio di attività collettive, improntate alla riflessione sul linguaggio, partendo da premesse filosofiche che fanno capo a Wittgenstein, Heinemann e Russel. L’opera di Martini è invece pubblicata nelle Edizioni di Documento Sud (Napoli), collegate alla rivista omonima, edita nel 1959 e poi proseguita da «Linea Sud» (1963-1965), diretta da Luca (Luigi Castellano), dallo stesso Martini e da Luciano Caruso, con l’intento di promuovere ricerche d’avanguardia sul linguaggio verbale e visivo. L’opera di Martini presenta delle tavole, come Una lezione per l’Occidente, nelle quali è proposto l’uso del collage di parole e immagini, con chiaro riferimento alle tavole parolibere di derivazione futurista. Le ricerche in questa direzione proseguono in area fiorentina con le iniziative organizzate dal Gruppo 70, tra cui si segnalano i convegni Arte e comunicazione (1963), Arte e tecnologia (1964) e il Terzo Festival (1965). In particolare nella mostra Tecnologica del 1964 associata al secondo convegno, sono presentate una serie di opere che fanno programmaticamente uso della tecnica del “collage largo” mediante la quale vengono poste in relazione frasi e immagini tratte dalla realtà circostante, ovvero da testi di vario genere che caratterizzano la società contemporanea, come fumetti, libri scientifici, documenti amministrativi, giornali, rotocalchi di moda, fotoromanzi. L’operazione viene formalizzata con l’antologia del 1965 di Lamberto Pignotti (Poesie visive, Sampietro, Bologna), che si propone programmaticamente come la prima del genere, racchiudendo al suo interno una serie di autori collegati a esperienze eterogenee – come ad esempio l’area più letteraria dell’avanguardia rappresentata dal Gruppo 63 – ma che sono accomunate, per l’occasione, dall’uso sistematico di immagini e parole nella composizione dei testi. Il titolo scelto per l’antologia – Poesie visive – dà luogo ad una serie di dibattiti durante i quali viene messa in dubbio l’opportunità della definizione, che è giudicata come rappresentativa della sola esperienza fiorentina del Gruppo 70, e dunque limitante nei confronti della numerose sperimentazioni che nel frattempo erano andate nascendo nel panorama italiano dell’avanguardia sia artistica che “letteraria”. In particolare, durante la presentazione dell’antologia presso la Galleria La Carabaga di Genova e dell’evento Prima mostra nazionale di Poesia Visiva (1965), Martino Oberto contesta l’impiego dell’aggettivo “visiva” proponendo invece il termine “visuale”, che a suo parere meglio rende conto del processo mentale, e non puramente visivo, che riguarda l’operazione di fusione dei due elementi – grafico e verbale – in un linguaggio nuovo. L’intervento di Oberto e il relativo dibattito è pubblicato sul primo numero di «Trerosso» (aprile-maggio 1966), rivista genovese fondata nel 1965 dai membri del Gruppo Studio (tra cui si ricordano Luigi Tola, Rodolfo Vitone, Guido Ziveri), altra formazione attiva nell’ambito della sperimentazione verbovisiva. In questi anni, inoltre, sempre nel capoluogo ligure, Ugo Carrega, collaboratore di «Ana Eccetera», inaugura la rivista «Tool» e successivamente a Milano il centro culturale Tool e Il mercato del sale, nei quali porta avanti la sua idea di “scrittura simbiotica”, basata sulla valorizzazione del segno nei suoi aspetti grafico, visuale, sonoro e materico. Nel 1975 firma con Vincenzo Accame, Martino e Anna Oberto, Corrado D’Ottavi e altri, il Manifesto di “Nuova scrittura” che si pone in continuità sia con le ricerche della rivista «Ana Eccetera» che con la scrittura simbiotica. Si delineano così, come osserva Lucio Vetri (Letteratura e caos. Poetiche della «Neo-avanguardia» italiana degli anni Sessanta, Mursia, Milano 1992, pp. 211-228), due ipotesi parallele che fanno capo, l’una alla poesia visiva del Gruppo 70 e l’altra, appunto, alla Nuova scrittura e che si differenziano per il diverso rapporto tra testo e immagine. Nel primo caso abbiamo un linguaggio logo-iconico che prevede «l’immissione nel linguaggio poetico di nuove componenti oltre alla parola, di segni visivi anche non verbali», nel secondo caso invece è perseguita «un’espansione meta-verbale dei mezzi e delle possibilità dello scrivere, mediante il trattamento linguistico di segni di natura non linguisticamente codificata». A ciò si affianca la terza “via” costituita dalla poesia concreta che opera esclusivamente all’interno del verbale. Lucio Vetri racchiude questi tre tipi di sperimentazione nella definizione di “poesia visuale”, riservando invece una categoria a parte per la poesia sonora e fonetica. In verità nella magmatica realtà degli anni Sessanta e Settanta si assiste a frequenti sconfinamenti tra i diversi filoni di ricerca, evidenti nella permeabilità di esperienze riconducibili all’ampio panorama delle ricerche d’avanguardia, a partire dagli esperimenti verbovisivi dei membri del Gruppo 63, tra cui si segnalano in particolare i collage e le poesie al computer di Balestrini e le “poesie visive” di Porta; oppure a ibridazioni tra poesia concreta e visiva come nel caso di Emilio Isgrò, che muovendosi tra i due versanti giunge poi a elaborare la personale tecnica delle “cancellature”, e di Adriano Spatola, autore di opere visive e concrete, instancabile operatore culturale e fondatore del centro di ricerche interartistiche Mulino di Bazzano. Spatola, inoltre, dà alle stampe nel 1969 il volume Verso la poesia totale (poi edito in versione aggiornata nel 1978), che attraverso la felice locuzione del titolo, si rivolge a tutte le forme della nuova poesia, nell’intento di rinvenire «non tanto una confusa e frammentaria area in dispersione, quanto la coesistenza di varie direttrici di marcia legate da una fitta rete di rapporti e di scambi», al di là delle rigide e schematiche partizioni in gruppi. Il comun denominatore di tali esperienze è indicato nel nuovo modo di intendere la poesia che «cerca di farsi medium totale, di sfuggire a ogni limitazione, di inglobare teatro, fotografia, musica, pittura, arte tipografica, tecniche cinematografiche e ogni altro aspetto della cultura» (ivi, p. 15), entrando in contatto con la realtà di cui è espressione: «la poesia è, per il poeta, soprattutto il modo di partecipare a una dimensione sociologica nuova della arti, finalmente da rendere attive nei confronti del mondo» (ivi, p. 32). Il rifiuto delle «vecchie strutture sintattiche e grammaticali», sentite ormai come obsolete rispetto alla situazione contemporanea, si traduce nel tentativo da parte dei poeti «di rendere evidente – sulla pagina o in qualsiasi altro modo – il rifiuto della […] posizione passiva in favore di un gesto totale» (ivi, p. 32). L’ampio ventaglio delle ricerche visive si salda a istanze di contestazione dell’establishment culturale, sia per quanto riguarda le modalità di composizione dell’opera, che programmaticamente destabilizza il sistema dei generi e delle discipline per recepire le istanze e i linguaggi della contemporaneità, sia per quanto riguarda il ruolo del poeta e dell’artista, assimilato, nella sua azione, all’operatore culturale impegnato direttamente in tutto il processo di elaborazione, composizione e diffusione dell’opera, in contrasto con i consueti moduli di circolazione del prodotto estetico all’interno del mercato editoriale o del circuito dell’arte. L’intento è quello di recuperare una nuova funzione sociale per la poesia e il poeta, capace di intercettare e interpretare la contingenza storica, sociale e culturale, in modo critico e in aperto contrasto con le forme di banalizzazione dei messaggi messe in atto dalle comunicazioni di massa tipiche delle società neocapitalistiche. Ciò è particolarmente evidente in alcune forme di sperimentazione verbovisiva dei primi anni Settanta, che recepiscono le istanze della contestazione nata in seno al ’68 e ai movimenti underground. Mi riferisco ad esempio all’attività di Sarenco, artista attivo dapprima tra le fila del Gruppo 70 e poi, quando il gruppo di fatto si scioglie, verso la fine degli anni Sessanta, instancabile operatore culturale, con la fondazione di riviste, come «Amodulo» nel 1968, «Lotta poetica» nel 1971, le edizioni Amodulo, SARMIC (1972) e Factotum Art (1977), la galleria-centro culturale Studio Brescia. In particolare nella rivista «Lotta Poetica», Sarenco imposta l’equazione tra avanguardia artistica e avanguardia rivoluzionaria, riassunta nell’impegno a condurre «una battaglia continua a due livelli: a) a livello linguistico per la distruzione delle strutture culturali della società borghese; b) a livello politico a fianco dell’avanguardia della classe operaia e del movimento degli studenti» (editoriale, n. 1, 1971). Da sottolineare l’apertura internazionale delle iniziative promosse da Sarenco, che si rivolge soprattutto all’area francofona della sperimentazione vebovisiva con Alain Arias-Misson, Jean François Bory, Henri Chopin, Paul De Vree (condirettore della rivista), e la longevità dell’esperienza, che prosegue anche negli anni Ottanta, in pieno clima postmodernista. Attorno alla rivista nasce il gruppo internazionale di poesia visiva (poi negli anni Ottanta, Logomotives) composto da Sarenco, Miccini (che negli stessi anni dà vita al Centro Tèchne di Firenze), Blaine, Bory, De Vree, Arias-Misson. La declinazione italiana della ricerca visuale si inserisce infatti nel più vasto contesto internazionale, che abbraccia più paesi e più continenti, dall’Europa al Giappone. Si segnala, ad esempio, l’importanza dell’opera di Jiří Kolář che già nel 1961 elabora la sua “poesia evidente”, la sperimentazione lettrista e situazionista, la già ricordata area belga e francese, in particolare con Chopin, De Vree e Bory, la tangenza con il movimento internazionale Fluxus. Le basi comuni sono rinvenibili nella lezione dell’avanguardia storica (futurismo, dadaismo, surrealismo) sia per quanto riguarda la contaminazione tra parola e immagine, sia per quanto riguarda la funzione eversiva dell’arte in rapporto alla società. I confini cronologici del fenomeno si estendono oltre gli anni Settanta, sino alla stretta contemporaneità; epoca nella quale si assiste però ad un cambiamento profondo delle tipologie compositive, dei supporti e dei media impiegati, nonché del rapporto tra artista, opera e società, nel quadro ormai profondamente mutato della postmodernità.

BIBLIOGRAFIA:
Per una ricognizione della storia della poesia visiva, si rimanda, a fronte di una bibliografia ormai molto ampia, ad una serie di pubblicazioni “datate”, ma funzionali a ripercorrere le prime tappe della ricezione critica del fenomeno. Tra di esse si segnalano, il pioneristico catalogo di Luigi Ballerini (Italian Visula Poetry 1912-1972, Finch College Museum e Istituto Italiano di Cultura di New York 1972; poi Scrittura Visuale in Italia 1912-1972, Galleria Civica d’Arte Moderna, Torino 1973), la preziosa (quanto introvabile) rassegna di Eugenio Miccini, Poesia e/o poesia. Situazione della poesia visiva italiana, Brescia-Firenze, Edizioni Sarmic, 1972, l’imprescindibile volume di Adriano Spatola (Verso la poesia totale, Paravia, Torino 1978), il saggio di Renato Barilli (Viaggio al termine della parola. La ricerca intraverbale, Feltrinelli, Milano 1981), il catalogo curato da Enrico Mascelloni e Sarenco (Poesia totale. 1897-1997: dal colpo di dadi alla poesia visuale, Parise Editore, Verona 1997). Per quanto riguarda la bibliografia più recente si rimanda a Lamberto Pignotti e Stefania Stefanelli (a cura di), Scrittura verbovisiva e sinestetica (1980), Campanotto, Pasian di Prato (UD) 2011, e al recente catalogo a cura di Giosuè Allegrini e Lara Vinca Masini, Visual Poetry. L’avanguardia delle neoavanguardie, Skira, Milano 2014. Sulle riviste e gli editori d’avanguardia si vedano invece Giorgio Maffei e Patrizio Peterlini (a cura di), Riviste d’avanguardia. Esoeditoria negli anni Sessanta e Settanta in Italia, Sylvestre Bonnard, Milano 2005; Marco Bazzini e Melania Gazzotti, Controcorrente. Riviste e libri d’artista delle case editrici della Poesia visiva, Allemandi, Torino 2011; il sito www.verbapicta.it.

 

[Teresa Spignoli]
[scheda aggiornata al 19 settembre 2019]