23 Giu [Rivista] Nomer
DATA INIZIO:
1965
DATA FINE:
1973
LUOGO DI EDIZIONE:
Sverdlovsk (ora Ekaterinburg)
COMITATO DI REDAZIONE:
Ry Nikonova (pseudonimo di Anna Taršis), Sergej Sigej (pseudonimo di Sergej Sigov).
COLLABORATORI:
Evgenij Arbenev, Valerij D’jačenko, Feliks Volosenkov, Michail Taršis, Aleksandr Galamaga.
NUMERI TOTALI:
35
DESCRIZIONE:
Dal 1965 al 1973 «Nomer» fu l’organo ufficioso della Uktusskaja škola, (Scuola di Uktus), cenacolo che negli anni successivi al disgelo contribuì a vivacizzare la vita culturale di Sverdlovsk. Tra i componenti del gruppo, oltre alla fondatrice Ry Nikonova (pseudonimo di Anna Taršis), ricordiamo suo fratello Michail Taršis, gli artisti visuali Evgenij Arbenev e Valerij D’jačenko, Feliks Volosenkov, nonché il pittore astrattista Aleksandr Galamaga, morto suicida a ventun’anni nel 1969. A partire dal quinto dei 35 numeri editi complessivamente, alla rivista contribuirà anche Sergej Sigej (pseudonimo di Sergej Sigov), poeta ed estimatore del futurismo russo e italiano che, all’inizio degli anni Sessanta, prima di avvicinarsi alla Scuola di Uktus, aveva fondato a Vologda un gruppo di «anarcofuturisti».
Come altre edizioni periodiche samizdat degli anni Sessanta, «Nomer» nasce dalla consapevolezza dell’impossibilità di rientrare nella cornice della letteratura ufficiale, nonché della libertà pressoché sconfinata intravista dietro una simile esclusione. Come scrive infatti Valerij D’jačenko nel suo appello in calce al n. 12: «Voglio che in futuro la rivista diventi il frutto coerente di un gruppo di dilettanti – artisti-dilettanti, poeti-dilettanti, filosofi-dilettanti, ecc. O, per essere più precisi, dilettanti e basta, senza alcuna specializzazione nel campo dell’arte o della letteratura. Cioè, in questa rivista deve esserci spazio per quello che nella vita non trova posto… E, per favore, senza pretese di immortalità, perché su questo dobbiamo metterci una croce sopra, senza illusioni. Nella cultura del nostro tempo noi non entreremo. Ma è molto meglio non entrare affatto nella cultura e restare dilettanti, piuttosto che entrarci da semiprofessionisti».
Quest’atteggiamento polemico contro i professionisti della letteratura, ovvero gli scrittori “laureati”, disposti a scendere a patti con i dettami del realismo socialista, tornerà in seguito in una serie di articoli apparsi su «Transponans», la rivista che i coniugi Ry Nikonova e Sergej Sigej inizieranno a pubblicare una volta trasferitisi ad Ejsk, sulle sponde del mar d’Azov, nel 1978.
Malgrado i contatti con Leningrado fossero regolari (nel 1965 la Taršis si era iscritta al locale Istituto teatrale, musicale e cinematografico, dove l’anno seguente aveva tentato di mettere in scena Le sedie di Eugen Ionesco), «Nomer» può essere definito l’espressione di una cerchia amicale chiusa, tenacemente ancorata ai realia della città di Sverdlovsk (come, ad esempio, il trampolino da sci di Uktus, cui il cenacolo deve il suo nome). Lungi dall’essere percepito come un limite o un ostacolo da superare, il decentramento geografico viene idealizzato, quasi costituisse in sé una garanzia di originalità e «purezza».
Come scrive T.P. Žumani, le caratteristiche essenziali di «Nomer» – e cioè la rukopisnost’ (faktura manoscritta) e l’odnoekzempljarnost’ (tiratura in un’unica copia) – portano a una rinascita della tradizione del libro futurista, cui viene liberamente a sovrapporsi la forma dell’edizione periodica samizdat. «Nomer» è espressamente concepita dai suoi redattori come una «rivista aperta», programmaticamente incompiuta, il cui contenuto dipende dalle integrazioni apportate di volta in volta dai lettori. A partire dal n. 8 infatti le sue pagine cominciano a ospitare apposite colonne intitolate Critica o Critica della critica, dove i lettori (in genere sodali della Scuola di Uktus) potevano esprimere liberamente i loro giudizi sui testi pubblicati. A queste sezioni si aggiungeranno in seguito spazi vuoti, isolati dal resto della pagina con un semplice tratto di penna e accompagnati da imperativi come Vpiši svoe, Vklej svoe, Ispiši stranicu («Scrivi quel che vuoi», «Incolla quel che vuoi», «Ricopri di scritte la pagina»). La struttura solitamente «chiusa» dell’edizione periodica si apre così agli apporti estemporanei dei suoi fruitori, trasformandosi in una piattaforma interattiva, mirante a promuovere esperimenti di scrittura collettiva paralleli rispetto al processo della lettura. Come ricorda la stessa Ry Nikonova: “In teoria la rivista non poteva avere una forma compiuta, perché veniva realizzata durante IL PROCESSO DELLA LETTURA da parte dei suoi lettori”.
Dunque il compito dei lettori diventa non tanto quello di perepisyvat’ («copiare, trascrivere») i contenuti della rivista (come avveniva nel samizdat tradizionale), bensì quello di dopisyvat’ («completare») i contenuti proposti dagli autori, integrare, modificare o stravolgere quanto già fissato su carta, operando una stratificazione del senso che, nel caso di «Nomer», assume una sua valenza tangibile. Basti pensare all’accumulazione visiva in Critica di commenti spesso riconducibili a segmenti temporali diversi, oppure all’affastellarsi di ritagli di giornale, disegni, acquerelli, collage e materiali rimovibili inseriti in apposite tasche di cartoncino (la rubrica Vyn’ da vlož’, Estrai e reinserisci, inaugurata nel n. 27, accompagnata da «istruzioni per l’uso» che tentano di regolamentare la disposizione del contenuto sulla pagina. Una scritta in particolare testimonia come la rivista passasse di mano in mano all’interno della cerchia dei lettori e il processo di completamento dell’unico esemplare avvenisse anche in assenza dei redattori: “Будьте осторожные с листами рисунков!!” («Fate attenzione con i fogli dei disegni!!», «Nomer», 24, 1971).
А partire dal n. 30 una nuova prassi modificherà la faktura manoscritta di «Nomer», e cioè l’utilizzo di prodotti poligrafici «finiti» (riviste tecniche, cataloghi ecc.), anche di provenienza estera, che vengono qui riciclati come supporto per la rivista samizdat. Un esempio emblematico di questo procedimento è il n. 30 (agosto 1971), assemblato sulla base di un periodico in lingua russa sulle telecomunicazioni, il cui titolo è reso illeggibile con un atto di quello che Ry Nikonova definirà «vandalismo grafico». All’interno il suo contenuto verbale viene «oscurato», ovvero impiegato come base per incollarci sopra componimenti poetici o disegni. Oppure disegni tecnici preesistenti vengono ripassati con gli acquerelli e inglobati nei componimenti verbovisuali d’ispirazione dada e futurista dei componenti della Scuola di Uktus. «Nomer» si appropria anche di elementi pertinenti alla cultura materiale sovietica: nel n. 30 il testo programmatico di Sigov Budetljane i buduščely (1970-71) è scritto a mano sulla carta da pacco dei Grandi Magazzini di Sverdlovsk CUM, mentre nel numero 33, interamente realizzato a Koktebel’ nell’estate 1972 durante il cosiddetto Pervyj krymskij kongress Uktusskoj školy izjaščnych iskusstv (Primo congresso crimeano della scuola di belle arti di Uktuss), compaiono etichette scritte in ucraino, tra cui quella del «Dolce Avanguardia» («pečivo Avangard»).
NOTE:
La schedatura è stata condotta sulla base dalla collezione samizdat del FSO Forschungsstelle Osteuropa an der Universität Bremen, Historisches Archiv (Archivio storico del Centro di ricerca sull’Europa orientale, Università di Brema).
BIBLIOGRAFIA:
C. Greve, Palimpsests. Visual Poetry by Sergej Sigej and Ry Nikonova, in Id., Writing and the “Subject”, Amsterdam, Pegasus, 2004, pp. 217-278.
G. Janecek, Conceptualism in the Work of Sergej Sigej and Ry Nikonova, in «Russian Literature», LIX, 2006, nn. 2/3/4, pp. 469-485.
I. Kukuj, Laboratorija avangarda: žurnal «Transponans», in «Russian Literature», LIX, 2006, nn. 2/3/4, pp. 225-259.
V. Parisi, Il lettore eccedente. Edizioni periodiche del samizdat sovietico (1956-1990), Il Mulino, Bologna 2013, pp. 330-339, 342.
A. Taršis, Uktusskaja škola, in «Novoe literaturnoe obozrenie», 16, 1995, pp. 221-238.
T. Žumani, «Uktusskaja škola» (1965-1974). К istorii ural’skogo andergraunda, in «Izvestija Ural’skogo gosudarstvennogo universiteta», 13, 1999, pp. 125-127.
[Valentina Parisi]
[scheda aggiornata al 13 giugno 2019]